Candido Lucato ha pubblicato il suo nuovo libro “Ferdinando Bandini compagno di banco”, dedicato ad uno dei più illustri poeti vicentini, scomparso nel 2013. Ecco come presenta il libro Bepi De Marzi.
Ma chi ricorda più la strada bianca di terra polverosa e ghiaia tra Montorso e Arzignano. Vi andava con la bicicletta il maestro Lucato a poco più di vent’anni, con il contrabbasso a tracolla. Studiava da Pellizzari, nella Scuola di Musica, dove Antonio Vivaldi, svolando tra motori, pompe e trasformatori dell’immensa Officina, segnava Le Stagioni nel suono dei violini. E le colline innalzavano cantilene al discorrere della pace raggiunta, del lavoro, con la felice intonazione a salire della Valle in Chiampo.
Ma chi ancora s’immagina quel tram tutto vetri e legni e rotabili traballi che da Vicenza, scorrendo San Felice tra le case e i palazzoni, poi San Lazzaro, e l’Olmo e Tavernelle, in quindici fermate annunciate a voce professionale e trombettina di memorie postiglione, un cambio di motrice a San Vitale di Montecchio, arrivava a Chiampo in cento bei minuti pieni. Lo usava ogni giorno il poeta Fernando Bandini che nel paese di Giacomo Zanella faceva il maestro di scuola elementare.
Poesia della poesia. Ecco il libro che racconta l’amicizia nata nell’ultimo anno di studio all’Istituto Magistrale Fogazzaro di Vicenza, continuata poi nel delicato lavoro di insegnanti elementari anche nei paesi di montagna. Ma sono venuti gli anni delle scelte prestigiose e generose: andare nel Dove lontano della sapienza, oppure donarsi nella fatica di rimanere. Candido Lucato da Montorso, dice finalmente di Fernando Bandini, suo compagno di banco.
“Ero proprio uno sprovveduto montanaro piombato nella città di Vicenza, patria di scrittori e poeti illustri, uno dei quali era proprio lì ogni mattina seduto al mio fianco”.
Poco meno di duecento pagine con Proget Edizioni di Casalserugo nella Bassa Padovana. Poesia di tante poesie. Quasi segrete, si può anche dire “mai sapute”. Si scambiavano versi, confidenze, raffinatezze di ricerche nello studio già deciso. Bandini innamorato di Rimbaud che sussurrava:
“Sai, un bel salto, da Pascoli a questo ragazzo francese che a diciassette anni si era messo in testa di poter sprofondare nella propria interiorità e trasporre in poesia i propri sentimenti”.
E Lucato ritrova qualche foglietto di quell’anno decisivo. Riporta lo scrivere dell’amico a sbalordire: “Fossero i miei versi quello che la neve / è per i bambini quando si svegliano… Fossero i miei versi quello che l’acqua / di maggio è per i meli dalla foglia lustra…”.
Poi si propone, lui dal carattere riservato, di voce in timbro morbido, mediano. Ama le rime, le assonanze, Lucato, il ritmo costante, come per un canto continuo: “Per tutta la notte s’esala / l’odore che passa col vento. / Passa il lume su per la scala; / brilla al primo piano: s’è spento…”.
Bandini conosce Scapin e Parise. Virgilio, che sarà scrittore e libraio in Vicenza, ha studiato dai Giuseppini di Montecchio Maggiore, dove è passato anche Fernando. Candido Lucato ha lasciato il seminario dopo il ginnasio. Ha imparato però a suonare il pianoforte e l’organo. Gli è rimasto il rispetto per l’armoniosa severità della liturgia: erano i tempi beati di don Ernesto Dalla Libera con il nipote, il concertista Sandro, che con le sue pubblicazioni contribuirà a impostare, nell’ebbrezza dei grandi compositori, il nuovo repertorio organistico, poi guastato dalle tentazioni chitarristiche con le permissività e gli avventurismi conciliari.
Terminata la Scuola con il diploma di maestri raggiunto con il massimo dei voti, nell’attesa dell’abilitazione s’incontrano a Vicenza. Hanno evitato il servizio militare perché Bandini è “scarso di torace” e Lucato ha la vista “che non permette la mira del moschetto”. Ecco un passaggio di quei giorni tutto intorno alla figura di Goffredo Parise, molto amico di Bandini.
“Siamo seduti al solito bar più in ombra di sempre… Fernando si accende una sigaretta e soffia il fumo contro la finestra. Io non voglio disturbarlo perché ho capito che sta pensando, che qualche visione aliena lo conturba, o gli sta nascendo un nuovo verso in testa. – Lo sai – dice, – che secondo me Goffredo non ama Vicenza? Mi ha confessato che ha cominciato a scrivere un altro racconto ma che la città lo distrae molto. Evita gli amici, anche me, si rifugia in Contrà Barche, dove il Retrone compie quella curva… Ha scritto anche qualche poesia nello stile un po’ confusionario del ‘Ragazzo morto’… A proposito, ho scritto una nuova poesia, avrà bisogno di qualche modifica. Si intitola ‘Sera a Vicenza’.
“Scusa, Fernando. Hai detto che nelle chiese non ci vai mai. Sei forse ateo?”.
“Non ateo, che vorrebbe dire senza Dio. Mi dichiaro laico, non appartenente a nessuna congregazione religiosa. Certo, credere di essere sbucati dal niente, come sostiene il mio amico Goffredo, non mi soddisfa. Il niente, il nulla, non produce nulla. Quando guardo una mia poesia scritta sulla carta so che non si è scritta da sola e che ci ho faticato sopra per qualche giornata. Tuttavia, mi viene da pensare”.
Sono decine e decine, le strofe dei due amici, tra le pagine di questo affettuosissimo, lungo racconto sul Compagno di banco. Ma qui c’è anche lo spazio per una voliera, com’era la casa di Bandini in Carpagnon: lui che dialogava con gli uccelli che da Campo Marzo andavano a cantargli Azneciv, la sua Vicenza “arrovesciata nei suoni misteriosi della poesia”.
“Mi piacerebbe essere sepolto / a Mala Strana / in uno di questi silenziosi giardini / dove viene a svernare la cincia oltremontana….”. Lucato la riporta da Garzanti: è del 2007, scritta a Praga. Che si conclude nella mestizia dei grandi poeti. “Ma Azneciv città che ha i suoi corvi / e i suoi golem pretende le mie ossa. / Ci sarà qualcuno che si ricordi / di Bandini? Che sopra la sua fossa / rechi i fiori che amo (aquilegie, asfodeli) / e si fermi un poco a parlare con me? / Perché il mio cuore era di re / ma non avevo un regno né fedeli”.